EDITORIA E DINTORNI

Nicolai Lilin, Einaudi e i congiuntivi, questi sconosciuti

Trilogia siberianaDopo aver letto i primi due volumi della Trilogia Siberiana di Nicolai Lilin sono rimasto, a dir poco, perplesso. Vi spiego perché.

I libri, di per sé, non sono male. Il primo, Educazione Siberiana (2009), è senz’altro meglio del pessimo film realizzato da Gabriele Salvatores che ne ha stravolto la trama e i contenuti, mischiando personaggi ed eventi in un cocktail semplicistico e raffazzonato. Il protagonista, Nicolai appunto, ci racconta la sua vita insieme e attraverso le vite di una serie di personaggi in un modo che mi ha ricordato l’Antologia di Spoon River del poeta statunitense Edgar Lee Masters (opera di ben altro spessore, beninteso). Il secondo volume, Caduta libera (2010), mi è piaciuto di più, racconta la guerra in Cecenia con il disincanto del soldato vittima degli eventi (anche qui sulla falsariga dei libri di Sven Hassel da cui l’autore sembra aver attinto molto), ma ancora ho riscontrato qualche errore di troppo e un flashback temporale che Lilin non ha saputo rendere facilmente percepibile, al punto che l’ho riconosciuto casualmente, solo perché una frase era stata ripetuta tale e quale dopo parecchie decine di pagine. L’autore si perde dietro agli aneddoti che racconta facendo perdere al lettore la bussola della storia. Un altro motivo che mi ha infastidito parecchio è l’uso a dir poco disinvolto dei congiuntivi. Anzi, diciamo le cose come stanno:

molti, troppi congiuntivi sono atrocemente sbagliati. emoticon no

Ma la case editrice e i suoi correttori delle bozze dov’erano?? Gli editori, un tempo, erano i garanti della qualità dell’opera che pubblicavano, ora non più. Le uscite si moltiplicano, i costi e i tempi di lavorazione devono essere abbattuti e la qualità ne risente, con buona pace del lettore.

A questo punto, il terzo volume aspetterà… l’autore e l’editore non hanno saputo conquistarmi.

CULTURA E ATTUALITA'

Brundibar: memoria della Shoàh

Il 10 Febbraio 2019, alle ore 17:00 a Genova, Palazzo Ducale, Salone del Maggior Consiglio, per celebrare la «Memoria della Shoàh», spenti i riflettori ufficiali, si terrà uno spettacolo unico e particolare, con adulti e bambini. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.

brundibar

Dal libretto di Adolf Hoffmeister, esecuzione integrale dell’opera in due atti “Brundibar“, rappresentata nel lager nazista di Theresienstadt nel 1943.
Partecipano le voci bianche del Piccolo Coro Anna e Aldo Faldi, la Corale Santa Maria di Bogliasco, l’Ensemble I Musici, gli allievi attori dei Corsi di Recitazione de “La Quinta Praticabile”.
Lo spettacolo è a cura di Anna Laura Messeri, Cecilia Cereda e Nicola Ferrari. Pupazzi ideati e realizzati da Guido Zibordi Marchesi.

Brundibar è un’opera per bambini scritta nel 1938 dal compositore ebreo Hans Krása ceco, su libretto di Adolf Hoffmeister, per partecipare a un pubblico concorso che venne poi annullato a causa dei gravi sviluppi politici in Cecoslovacchia. Una prima rappresentazione clandestina avvenne, nell’inverno del 1942, nell’orfanotrofio ebraico di Praga, a opera dei bambini lì rifugiati a causa della guerra. Il compositore Krása intanto era già stato deportato a Theresienstadt, mentre il librettista Hoffmeister aveva fatto in tempo a scappare da Praga. Quando poi, tra l’aprile e il luglio del 1943, quasi tutti i membri del coro originale si ritrovarono deportati nello stesso campo di concentramento di Theresienstadt, Krása ricostruì l’intera partitura dell’opera, basandosi sulla propria memoria e su una parte dello spartito del pianoforte che ancora possedeva, adattandola agli strumenti disponibili.
La prima ebbe luogo dunque a Theresienstadt il 23 settembre del 1943. Fu un grande successo, cui nel tempo seguirono oltre 50 repliche, una delle quali, nel giugno del ’44, fu presentata agli ispettori della Croce Rossa Internazionale per mostrare come i nazisti sapevano gestire con benevolenza il campo. (La memoria dello spettacolo fu poi conservata da una ripresa nazista in un film di propaganda). Ma questa immagine di facciata fu smentita nel settembre del ’44, quando il campo di Theresienstadt venne  dismesso e i prigionieri trasferiti ad Auschwitz, dove molti di loro trovarono la morte. Così finirono lo stesso Krása e i tre bambini che avevano interpretato Brundibar, Pepicek e il Passerotto. Hans Krása, nel campo, imparò a fronteggiare il caos, a imporgli un ordine, fragile ma indistruttibile, con il suo muro di suoni: nella prigionia, trasformò la sua opera in uno stupefacente canto all’umanità. La fece cantare, interpretare e vivere ai suoi musicisti, ai suoi bambini, lì a Theresienstadt. Fu una fiaba di dolore, magia e speranza: la fiaba di Aninka e Pepícek, che con l’aiuto di un uccellino, un cane e un gatto (e di un esercito di ragazzi che scoprono nello stare insieme la loro forza incoercibile), riescono a trovare i soldi per acquistare il latte, salvando la mamma malata e vincendo la violenta opposizione del crudele suonatore di organetto Brundibar; la fiaba di Hans e dei suoi ragazzi, che continuarono a danzare sull’abisso spalancato.

IL LIBRO DEL MESE

Il libro del mese: Pane nero

Il libro che consiglio questo mese è un romanzo che narra la vita quotidiana delle donne italiane durante gli anni del secondo conflitto mondiale.

cop_Pane_nero_Mafai:2008

PANE NERO

di Miriam Mafai

Con la forza evocativa di un maestro neo-realista, Miriam Mafai ricostruisce la vita quotidiana di un esercito di donne italiane. Madri, mogli, ragazze, operaie, mondine, borghesi e nobili, ebrei e gentili, fasciste e partigiane… Ne nasce un’epopea che ha come scenario le città bombardate, le campagne invase dalle fanterie di tutti gli eserciti, Roma, città aperta. Pubblicata nel 1987, è questa la prima storia delle donne vissute negli anni del “pane nero” che le videro assurgere a ruolo di capofamiglia e di uniche vincitrici nella guerra perduta.

Per non dimenticare, per imparare, per capire… un altro testo che mi piacerebbe fosse tenuto in maggior considerazione dagli insegnanti cui spetta l’arduo e sensibile compito di formare le nuove generazioni.

 

I grandi contemporanei

Un italiano tra i big: Marco Buticchi

Marco Buticchi è nato a La Spezia nel 1957 ed è uno degli scrittori italiani di maggior successo. Laureato in Economia e Commercio, iniziò a lavorare come trader petrolifero, viaggiando molto in tutto il mondo. La sua vera passione, però, è sempre stata scrivere e nei primi anni novanta tenta di pubblicare il suo primo libro ma non trova un editore anzi, parole sue, un editore suo amico gli consiglia di lasciar perdere e fare altro. Ma egli non demorde e, apertosi una partita IVA come editore, pubblica a sue spese due romanzi, Il cuore del profeta (1991) e L’ordine irreversibile (1992).

buticchi

Qui si avvera il sogno di ogni autore esordiente: uno dei suoi libri viene notato da Spagnol che gli offre un contratto e lo porta in Longanesi. Da quel momento l’ascesa e il successo dello scrittore spezzino non conoscono flessioni e i suoi romanzi diventano bestseller venduti in tutto il mondo. Tutt’oggi è l’unico autore italiano inserito nella serie dei Maestri dell’avventura di Longanesi.

Dal suo romanzo Le pietre della luna (1997), il primo con la prestigiosa casa editrice, è stato tratto il film “Il gladiatoredi Ridley Scott (non è ufficiale ma è un fatto ormai constatato da tutta la stampa mondiale). Di grande successo è la sua saga che vede come protagonisti l’agente del Mossad Oswald Breil e l’archeologa italiana Sara Terracini. Di questa serie fanno parte Menorah (1998), Profezia (2000), La nave d’oro (2003), L’anello dei re (2005), Il vento dei demoni (2007), Il respiro del deserto (2009), La voce del destino (2011) con il quale si aggiudica il Premio Emilio Salgari e arriva in finale al Premio bancarella 2012, La stella di pietra (2013) e Il segno dell’aquila (2015). Nel 2016 pubblica Casa di mare, romanzo nel quale Buticchi affronta la sfida più ardua: raccontare la straordinaria vita di suo padre, Albino, petroliere e presidente del Milan dal 1972 al 1975. Quest’anno è uscito il suo ultimo romanzo, La luce dell’Impero, che spazia tra passato e presente mescolando sapientemente aderenza storica e finzione narrativa.

AUTORI ESORDIENTI ITALIANI

Intervista a Isabella Pileri Pavesio

Oggi è gradita ospite del nostro salottino letterario la scrittrice genovese Isabella Pileri Pavesio, attualmente firma e social media manager del magazine elvetico Inews, che ha da poco concluso il suo ultimo romanzo, Schegge di memoria.

Pileri Isabella

d.) Isabella, lei ha esordito nel mondo della scrittura con due raccolte di poesie, vincendo nel 2002 il Premio speciale Roberto Monaldi; cosa l’ha portata a cambiare genere e a scrivere romanzi gialli e thriller?

r.)  Possiamo darci del Tu? Altrimenti mi sento giovane come la cugina di Tutankamon. Bella domanda: anche io me lo sono chiesta spesso. Diciamo che, per me, la poesia è stata portare all’esterno ciò che avevo dentro. In genere non si trattava mai di emozioni, in quanto in tutta la mia vita ho scritto due poesie d’amore (sempre per la stessa persona), ma di immagini e idee. Le mie poesie infatti descrivono ciò che avrei voluto dipingere, cosa che non so fare, unito a idee filosofiche o etiche. Presto, tuttavia, mi sono resa conto che dimenticarmi di me stessa, portando dentro di me gli altri e il mondo circostante, mi piaceva molto di più. È così che a volte divento straordinariamente silenziosa e osservatrice, certo non di grande compagnia: in genere è in quel momento che sto osservando te e la tua vita e sto riportandola sulla carta come la storia di un personaggio. Un po’ come fa il fotografo, io scrivendo romanzi cristallizzo momenti di vita perché non si perdano, perché non scorrano via.

d.) Benissimo, diamoci del tu, così anche io mi sento più giovane. Tra pochi giorni uscirà il tuo ultimo romanzo, Schegge di memoria, edito da De Ferrari Edizioni, ce ne vuoi parlare?

r.) All’agenzia investigativa milanese Perrotta è un giorno qualunque, uno di quelli in cui il detective Baglioni si dedica a stanche indagini su coppie scoppiate e pedinamenti di mariti fedifraghi. Ma la routine viene interrotta all’improvviso dall’arrivo di una lettera anonima, contenente la distale di un dito mignolo. Di una donna, forse la vittima di un omicidio, per la cui risoluzione Baglioni e l’amica Bea Lenci dovranno addentrarsi negli oscuri misteri che l’antica famiglia inglese Tennenwood occulta nel tenebroso castello di Richmond. Fra incubi  e colpi di scena, inconfessabili riti alchemici e atroci delitti, l’indagine seguirà i sentieri smarriti della memoria di John Irving, psichiatra inglese, e delle due sorelle Adam, misteriosamente scomparse.  E solo dopo molte peripezie le schegge dei ricordi, taglienti come vetri acuminati, si frammenteranno per ricomporsi in un caleidoscopio multicolore di fatti e di parole.

d.) La vicenda si svolge, seppur legata a eventi passati, tra il 2019 e il 2020. Perché hai scelto l’immediato futuro anziché i giorni nostri?

r.) Diciamo che sono partita da un confronto fra i tempi passati e l’oggi, per comunicare alle persone il fatto che, rispetto a secoli fa, oggi molti problemi possono essere risolti. Bisogna però dire che la crisi economica che ha colpito il mondo, la povertà e la disoccupazione, mi hanno spinto a non scegliere questi anni, ma l’immediato futuro. Spero di non essere stata troppo ottimista, ho scritto per trasmettere un messaggio positivo ai miei lettori: non lasciate che le schegge dei ricordi e dei dolori vi paralizzino. Coltivate i vostri sogni, combattete. Ti ricordo comunque che c’è un flashback di epoca vittoriana dettata dall’ammirazione incondizionata per Charles Dickens, cui è dedicato il romanzo.

d.) A chi ti sei ispirata per il personaggio del detective Giò Baglioni, protagonista dei tuoi romanzi?

r.) Quando ho iniziato a scrivere avevo sedici anni e… adoravo Claudio Baglioni! Oggi lo ascolto ancora con grande ammirazione.  Questo per quanto riguarda il nome. Come personaggio, diciamo invece che ho pensato a un ragazzo comune italiano, sulla trentina, disoccupato, con il mutuo da pagare e che deve, in qualche modo campare. E che riesce a sopravvivere improvvisandosi detective perché non ha trovato nulla di meglio da fare, almeno all’inizio. Infatti Baglioni è uno come me, uno come noi, trentenni di oggi, precari  nel lavoro e nella vita.

d.) In Italia si legge davvero poco. Cosa bisognerebbe fare secondo te per incentivare le persone a leggere di più?

r.) Questa domanda è un tasto dolente! Basta salire su un treno per rendersi conto della situazione. Quanti leggono un libro e quanti, invece, stanno usando il cellulare? Detto questo, dato che sarebbe folle abbandonare i cellulari per  leggere i libri, perché non rendere allora l’oggetto-libro allettante, più  bello dentro e fuori? Questo abbiamo voluto fare Maria Rita Vita (Maria Rita Vita è la pittrice astratta e action painter che ha dipinto il Blu della Speranza, il quadro che è copertina di “Schegge di memoria”, NdR) ed io. Creare un libro che fosse interessante dentro e artistico fuori, il regalo di compleanno per l’amica che ama la moda ma anche l’arte e la letteratura, l’oggetto  da posare sul tavolino in salotto perché, come se fosse un catalogo, “fa arredamento”. Non a caso, Maria Rita è anche stilista e ha creato il brand  “Vita fashion” dove ogni borsa, ogni foulard, sono un’opera d’arte che ognuno può indossare e portarsi a casa al prezzo di un comune accessorio “pret-a-porter”.

d.) In base alla tua esperienza, che consigli ti senti di dare a uno scrittore esordiente?

r.) Prima di tutto, leggere. E poi  farsi poche illusioni: essere esordienti significa ricevere rifiuti su rifiuti, soprattutto in Italia dove l’editoria è in crisi. Mi ricordo di aver impiegato sei anni a pubblicare il  romanzo d’esordio, Morte nel Fango. Il mio primo tentativo avvenne così: l’editore genovese che non nomino, fatto salvo il mio editore che è De Ferrari, mi consegnò indietro il manoscritto, dicendomi: “Non l’ho neanche letto, perché il libro di un’esordiente vale meno di zero”. Mi ricordo che, in quel momento, mi erano scese le lacrime, mentre mi chiudevo alle spalle la porta, e mi sono giurata che no, non avrebbero vinto loro. Partecipare a premi, per esempio il Premio Calvino,  ove si vinca  una buona lettura critica  dovrebbe essere comunque un obiettivo primario. Poi  ci sono anche le scuole di scrittura che spesso accompagnano gli esordienti sino alla pubblicazione. Essenziale sarebbe anche avere un buon editor che porti il testo  a essere un prodotto già professionale e in linea con i gusti del pubblico senza tradire l’anima della storia e dello stile,  mostrando al lettore della casa editrice che, nella sostanza, siamo già dei professionisti, anche se “in erba”. Come per me è Luisa Pavesio, mia zia, che dopo  anni di attività come  Direttore di Istituti di Cultura, è diventata un’ editor preziosa in Il peccato chiama peccato e poi anche per Schegge di memoria. Il lavoro di avvocato mi ha insegnato molto: devi essere affidabile e preciso in ciò che fai e devi trasmettere questa idea di serietà anche esteriormente. Per lo scrittore è lo stesso. Certo, noi tutti sogniamo un giorno il Premio Bancarella.

d.) Per un esordiente, che ruolo possono giocare i social nella promozione del proprio libro e della propria immagine?

r.) Sicuramente oggi i social sono importanti, me ne sono resa conto anche nella mia esperienza in Inews Swiss. Lo scrittore di oggi, esordiente o affermato, deve avere cura di essere fedele al proprio personaggio e di avere accanto a sé collaboratori preziosi: l’agente o  l’editore, che per primo confeziona la tua immagine pubblicando e diffondendo il romanzo, talvolta anche le agenzie pubblicitarie specializzate nella promozione letteraria. Ma queste possono diventare molto impegnative, per cui ci si dovrebbe rivolgere a un agente o a un’agenzia pubblicitaria solo quando dentro se stessi si è fatta una promessa: “Io voglio fare lo scrittore”.

d.) Isabella, tu hai pubblicato con diverse case editrici: hai mai pensato di auto-pubblicarti?

r.)  Secondo me l’editore  non può essere sostituito dall’autopubblicazione.  Un romanzo, infatti, nasce dalla penna (o meglio dalla tastiera) dell’autore, ma poi diventa un progetto in cui c’è bisogno di molte figure professionali che credano in te: dalla distribuzione ai booktour, l’editore e, per chi può, l’agente, sono figure insostituibili. Il romanzo di successo, essenzialmente è questo: un lavoro di squadra. Visto che stiamo parlando di lavoro in team,  ringrazio non solo tutte le persone che ho già nominato sopra, ma anche altri che hanno collaborato in vario modo alla promozione dei romanzi che ho scritto, come la regista dei booktrailer  e fotografa Giovanna Fadda, nonché coloro che hanno partecipato in qualità di attori e di figure professionali diverse, come la make up artist Roberta Pesce.

d.) Tu sei da sempre  impegnata nel volontariato e sul fronte dei diritti, soprattutto degli animali. I tuoi romanzi affrontano temi scottanti come lo sfruttamento sessuale e la tratta di donne e bambini. Il ricavato dei tuoi libri è spesso donato in beneficenza. Scrivere può quindi rappresentare un modo per reagire, per non rimanere passivi di fronte a certe ingiustizie?

r.) Sicuramente sì: ognuno di noi può essere una scheggia che taglia il velo dell’ingiustizia. Come scrittrice ho sempre cercato di diffondere le idee che reputavo giuste attraverso i romanzi, dalla lotta alla pedofilia ai diritti degli animali. Certo, ho donato il ricavato di due romanzi in beneficenza, perché le buone cause non si sostengono solo con l’amore, ma anche “con il pane”. Un romanzo è uno strumento potente per parlare a tante persone; come tale, trasmettere messaggi negativi, secondo me, ha un’influenza negativa potenziale su tutta la società. Come avvocato cerco di fare lo stesso; recentemente ho conosciuto i vertici di un’associazione ecologista che difende gli animali marini e spero presto di poter essere loro utile.

d.) Se dovessi fare un viaggio in auto da Genova a Roma, quale scrittore o scrittrice vorresti avere come compagno di viaggio?

r.) Domanda difficile: sono una lettrice compulsiva. Forse potrei affrontare il viaggio da Genova a  Roma in pulmino con i miei scrittori preferiti! Sicuramente mi piacerebbe trovarmi gomito a gomito con Gaetano Savatteri, Kathy Reichs, Fred Vargas, Andrea Camilleri. Loro sono i miei miti, quelli che mi hanno insegnato a scrivere. Se oggi sono arrivata a pubblicare il nuovo romanzo con De Ferrari, che è un editore a livello nazionale, lo devo un po’ anche a  loro.

Isabella Pileri Pavesio, laureata in giurisprudenza e avvocato, esordisce nel mondo della scrittura con le raccolte di poesie Voci Nostre (Nova Edizioni, anno 2000) e Auguri di compleanno (Nova Edizioni, 2002). Nel 2002 vince il Premio speciale Roberto Monaldi. Del 2007 è invece il primo romanzo giallo Morte nel fango (Gammarò) sui legami fra Stato e mafia, il cui ricavato è stato interamente donato al Canile Municipale di Genova. Nel 2012 esce Il peccato chiama peccato (Bel-Ami, Roma), thriller a sfondo internazionale ambientato fra Genova, Zurigo e Giacarta, che punta il dito sullo scottante tema dello sfruttamento sessuale e della tratta  di donne e bambini e che nel 2015 si aggiudica il Premio Letterario Luisa Rossi Buglione come romanzo edito.

AUTORI ESORDIENTI ITALIANI

Testimonianze di guerra

Oggi presento un libro davvero intenso e meritevole che ha ricevuto un riconoscimento speciale al Premio Alpini 2016 dello scorso ottobre.

TESTIMONIANZE DI GUERRA

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di Monica Benzi

Editore: Impressioni Grafiche

formato: Cartaceo

Prezzo: 10 euro

Link per l’acquisto: Editore Impressioni Grafiche 

E’ un libro di testimonianze orali che ha per oggetto la seconda Guerra Mondiale, vista questa volta “dal basso “, dalla prospettiva di alcuni superstiti protagonisti ponzonesi. E se, da un lato, viene in genere a mancare una visione d’insieme che dia un senso in qualche modo “oggettivo” agli eventi rievocati, dall’altro quanto per tale via si perde (giacché la memoria è quasi sempre parziale e spesso anche inattendibile), è compensato da tutta una serie di dettagli preziosi, da un suggestivo e commovente intrecciarsi di sentimenti e di risentimenti, che danno a questo mosaico di testimonianze il sapore dell’autenticità. Il “certo” della storia lascia qui spazio al “vero” delle emozioni, della quotidianità, degli affetti.

La copertina, realizzata da Cristian Foglino, riporta la foto di Cesare Ricci, nonno dell’autrice.

E’ possibile ordinare il libro anche scrivendo all’autrice (monicabenzi@libero.it) oppure presso la Cartoleria Righetti, Corso Italia, Acqui Terme (AL).

Monica Benzi è nata ad Alessandria il 5 marzo 1979, è appassionata di ricerche storiche, in particolare studi e documenti riferiti al periodo storico della seconda guerra mondiale.

COME SCRIVERE UN ROMANZO

Leggere e rileggere

Quando siete arrivati a scrivere la parola ‘fine’ al vostro racconto avete sicuramente raggiunto un bel traguardo. Avete tutte le ragioni per essere orgogliosi di voi stessi, poiché, senza dubbio, il lavoro sarà stato lungo e faticoso.

Il primo passo da compiere, adesso, è rileggere il proprio lavoro, dall’inizio alla fine, perché, anche se vi sembrerà di conoscerlo a memoria, troverete varie opportunità per migliorarlo, renderlo più fluido alla lettura, correggere errori di ortografia e sintassi. Questo lavoro dovete farlo prima di dare il manoscritto in lettura ad amici e conoscenti: se sottoporrete all’esame di terzi un manoscritto il più possibile pulito e corretto, avrete modo di avere pareri e recensioni non condizionate da un pessimo, per non dire inesistente, lavoro di editing.

Se è vero che la fretta è una cattiva consigliera, ciò vale ancor di più per lo scrittore. È comprensibile che, dopo mesi o anni passati a scrivere, a mettere su carta le trame che avevate in testa, la voglia di far leggere il vostro lavoro, di ricevere recensioni e di vedere pubblicato il frutto di tanta fatica sia fortissima, ma dovete armarvi di pazienza e seguire alcune tappe obbligate.

Cercheremo, magari con l’aiuto di chi le ha già affrontate ed è arrivato a coronare il sogno di pubblicare il proprio libro (e che invito a intervenire condividendo la propria esperienza), di esaminarle insieme in questo blog.